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giovedì 19 dicembre 2019

La Scienza spiega la Chimica dell’Amore

La Scienza Dimostra che Puoi Far sì Che Qualcuno S’innamori di Te




"Ci sarà sempre la magia di amare, ma la conoscenza è potere. Se sai chi sei, cosa cerchi e come puoi amare gli altri, è possibile catturare quella magia, trovare e mantenere il vero amore, e realizzare i tuoi sogni". Helen Fisher

La chimica può “spiegare” l’amore? Si possono ricondurre sensazioni romantiche e passionali all’azione di una molecola?

Serotonina, norepinefrina e dopamina sembrano esercitare un ruolo molto importante nell’innesco della passione amorosa.
L’amore con tutte le sue caratteristiche (pensiero invadente, energia intensa, esaltazione della persona amata e sbalzi d’umore solo per citarne alcune) sarebbe determinato da bassi livelli di serotonina nel sangue. Gli stessi livelli di serotonina sono presenti nelle persone ossessivo-compulsive e questo spiegherebbe come mai non possiamo fare a meno di pensare alla persona che amiamo.

La fase dell’attrazione è caratterizzata, inoltre, dalla presenza di alti livelli di dopamina e di norepinefrina. Gli alti livelli di questi due neurotrasmettitori causano sensazioni di euforia, perdita dell’appetito, insonnia e attenzione focalizzata. La stessa cosa accade nel mondo degli animali non umani durante la scelta del partner. La dopamina è la maggiore responsabile del sentimento amoroso. Essa è cruciale nel sistema di ricompensa e motivazione del cervello.

Saremmo, dunque, vittime impotenti di un istinto biologico. L’emozione dell’amore sarebbe un impulso al pari della fame e della sete. Esattamente, come quando si ha fame alcuni segnali interni inducono a mangiare per ripristinare l’equilibrio dell’organismo, allo stesso modo esistono segnali che ci rendono disponibili ad una relazione amorosa.

Nella fase di infatuazione sembra, inoltre, che parti del cervello che hanno a che fare con il giudizio sociale e le emozioni negative siano inibite. Questo ostacolerebbe di molto la nostra capacità critica, tanto da idealizzare la persona oggetto del nostro amore che vediamo attraverso “occhiali tinti di rosa”, rimanendo beatamente inconsapevoli dei suoi difetti. La fase dell’infatuazione dura un minimo di sei mesi e tende a svanire dopo tre anni di relazione. A meno che non la si viva nella fase dell’adolescenza.

Uno dei motivi che rende l’adolescenza un percorso accidentato è che gli adolescenti sperimentano la fase dell’attrazione in maniera più forte rispetto agli adulti e non riescono a passare alla fase successiva, ossia a quella dell’attaccamento.

C’è un ordine nelle reazioni chimiche negli innamorati?
È possibile rintracciare la risposta seguendo il corso della storia evolutiva propria delle creature umane. Una storia che è caratterizzata dallo sviluppo di tre sistemi cerebrali, tre chiavi d’accesso per rendere possibili i comportamenti finalizzati alla riproduzione. 

Faccio riferimento agli studi dell’antropologa cognitiva di Helen Fisher, della Rutgers University nel New Jersey, che studia l’amore da trentacinque anni. La Fisher individua nell’amore tre fasi distinte: il desiderio (o libidine), l’attrazione (amore romantico) e l’attaccamento. Ciascuna di esse coinvolge distinti sistemi cerebrali caratterizzati da una specifica biochimica. 
La libidine spinge ciascun individuo alla ricerca di un rapporto sessuale. In questa fase a farla da padrone sono il testosterone negli uomini e gli estrogeni nelle donne. 

Il ruolo dell’attrazione romantica è, invece, quello di direzionare e focalizzare questa attenzione indifferenziata verso un individuo particolare. 
Responsabili di questa fase sono tre potenti sostanze chimiche: adrenalina, dopamina e serotonina. Solo successivamente entra in gioco l’attaccamento uomo-donna evolutosi per garantire protezione, sicurezza e cure adeguate alla prole. In questa fase ci vengono in aiuto le endorfine e ormoni come l’ossitocina e la vasopressina. 
Il rilascio delle endorfine è stimolato da rapporti stabili nel tempo. Le endorfine creano la sensazione della dipendenza, in maniera tale che se il nostro partner è lontano desideriamo che torni. (Domenica Bruni - Scienze cognitive.)


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