Rallentare l’Invecchiamento
Elizabeth Blackburn è stata premiata per aver scoperto
che l’invecchiamento è legato ai telomeri, i “cappucci” che
proteggono le punte dei cromosomi.
E qui spiega come
farli durare di più.
Osservando al
microscopio il Tetrahymena
la biochimica australiana Elizabeth Blackburn ha trovato la data di
scadenza che tutti gli animali, uomo compreso, portano scritta nelle
loro cellule. Insomma, il segreto dell’invecchiamento cellulare.
Una scoperta che le è valsa il premio Nobel nel 2009, e che oggi è
il fondamento di una nuova scienza della longevità
Tutto
parte dal mistero risolto dalla Blackburn: a cosa servono le
estremità finali dei cromosomi, dette telomeri? La scienziata ha
capito che quelle strane sequenze ripetute di basi di Dna che
“incappucciano” le estremità dei cromosomi – che nel 1971 il
biologo russo Alexey Olovnikov battezzò “telomeri”, dal greco
tèlos, fine, e mèros, parte – hanno la stessa funzione dei
cilindretti di plastica alle estremità dei lacci da scarpe:
proteggono il “laccio” a doppia elica del Dna e gli impediscono
di sfilacciarsi durante momenti delicati e instabili come le
divisioni cellulari.
Col
passare del tempo, le nostre cellule continuano a dividersi
rinnovando gli organi e i tessuti. Ma – a meno di non essere
cancerose – non possono farlo all’infinito: prima o poi non
riescono più. A quel punto, sono invecchiate: perdono molte delle
loro funzioni (i globuli bianchi non riescono più a identificare gli
invasori da aggredire, per esempio) e muoiono, causando anche
l’invecchiamento degli organi. L’invecchiamento di una cellula
dipende dai suoi telomeri: a ogni divisione cellulare, i telomeri
delle cellule figlie sono più corti rispetto a quelli della cellula
madre, e così via. Quando questi continui sminuzzamenti rendono il
telomero un moncherino quasi inesistente, la cellula non si divide
più
«In
realtà io e il mio team abbiamo scoperto che esiste un piccolo
bricoleur che ripara le punte dei cromosomi: è un enzima che abbiamo
chiamato telomerasi. Provvidenziale, perché – in certe condizioni
– permette ai telomeri di riallungarsi, posponendo, così, la morte
delle cellule. È proprio per questo motivo che mentre ha senso
commissionare l’analisi del genoma, dove i geni che vengono
sequenziati non cambiano, oggi è inutile far analizzare i propri
telomeri: possono variare nel tempo, anche nel giro di pochi mesi».
Come
si evita che i telomeri si accorcino troppo?
«Da un lato
stando attenti a ciò che li fa accorciare, e dall’altro conoscendo
ciò che, appunto, può aumentare la produzione dell’enzima
telomerasi. A oggi è ancora impossibile produrre un “elisir di
giovinezza” che alzi artificialmente la telomerasi, perché si
rischia che le cellule non smettano più di dividersi, ossia il
cancro. Si può però puntare su una difesa naturale dei telomeri. Ad
esempio con l’esercizio fisico: uno studio su 1.200 coppie di
gemelli, che ci permette quindi di isolare gli effetti dell’esercizio
fisico dai fattori genetici, mostra che il gemello più attivo ha
telomeri più lunghi di quello inattivo. Le cause possono essere
molteplici. Una di queste è un ormone che i muscoli rilasciano dopo
l’esercizio fisico, l’irisina: brucia i grassi e protegge le
ossa. L’attività fisica, inoltre, incrementa l’azione
rigeneratrice della telomerasi. Abbiamo visto che anche un esercizio
moderato, come quello della bicicletta, eseguito tre volte la
settimana per tre quarti d’ora, in sei mesi raddoppia l’attività
della telomerasi».
Quanto
aiuta la restrizione calorica – quella delle “diete lampo” di
oggi che comprendono anche il digiuno – ad allungare i telomeri?
«È inutile
focalizzarsi sulle calorie. A contare è ciò che si mangia: una
dieta con basso contenuto di zuccheri migliora la nostra salute
metabolica interna, che è più importante del peso. Non sono certo
l’unica a tessere l’elogio della dieta mediterranea, ma caso
vuole che sia proprio il tipo di dieta che aiuta i telomeri,
soprattutto per via degli Omega-3».
Nessun commento:
Posta un commento