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mercoledì 25 settembre 2019

La trappola del "dobbiamo lavorare per mangiare" e come uscirne subito





Esiste un mito molto diffuso secondo il quale “lavorare di più ogni giorno aiuta a forgiare un futuro professionale migliore”. Si tratta, appunto, di un mito perché, anche se di certo avere lunghe giornate lavorative può aiutare a migliorare i propri introiti, con il tempo ciò serve solo a sviluppare fatica professionale e a rendere meno sul lavoro.

Alla domanda “chi sei?” la maggior parte delle persone risponde mettendo, al primo posto, la propria professione.

La maggior parte del nostro tempo lo passiamo lavorando: per molti lavoratori non c’è tempo per fare altro. Non facciamo più un lavoro, noi siamo un lavoro. Prendiamo parte alla vita solo con il nostro lavoro, e tutto quello che facciamo è collegato al nostro lavoro.

Pavese, con la sua raccolta di poesie “Lavorare stanca”, era stato piuttosto profetico. Da un recente studio pubblicato sull’American Journal of Epidemiology dai ricercatori dell’Institute of Occupational Health di Helsinki emerge chiaramente che trascorrere molte ore a lavoro produce effetti negativi sulle performance cognitive delle persone di mezza età.
Questa scoperta avviene anche quando le persone si rendono conto che, a causa del loro livello di esigenza, si sono persi momenti che non potranno mai più recuperare e ai quali, razionalmente, non avrebbero mai rinunciato.

Si svegliano un giorno e, appena aperti gli occhi, vengono invasi da una profonda tristezza, un dolore che, in fondo, i soldi o l’importanza sociale non guariscono facilmente.
Senza rendercene conto, diventiamo un pezzo dentro il meccanismo della produzione e stiamo scambiando la nostra salute e la nostra felicità per i soldi. Soldi che pensiamo di usare quando ormai non saremo più abbastanza giovani per farlo.

Lavorare per vivere non significa solo lavorare il minimo per garantirsi una vita dignitosa, ma anche saper vedere nel proprio lavoro un’occasione per costruire la propria vita.



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