Coronavirus ipotesi di arma biologica
Il marchio del “complottismo”
Per parte nostra,
prendiamo le mosse da un punto, che non sarà sfuggito: chi osi
sollevare dubbi rispetto alla versione ufficiale – quella del virus
come “naturale” evoluzione a partire dal pipistrelllo –, è
immediatamente silenziato come complottista e, in quanto tale,
ostracizzato e privato del diritto al pubblico dibattito. Curioso, in
effetti, che chi socraticamente sollevi dubbi sia diffamato come
idiota, mentre chi viva di granitiche certezze sia salutato come
acuto e intelligente! Prodigi del pensiero unico! Eppure, se divampa
un incendio non è certo complottista chi solleva l’ipotesi del
dolo. Anzi, se adduce moventi e ipotesi di lavoro, la sua posizione è
accolta o quanto meno ascoltata seriamente.
Gli Usa il
trattamento per i paesi non allineati
Lo stesso Tucidide,
nella Guerra del Peloponneso, ipotizza che la peste fosse diffusa ad
Atene dall’operato degli spartani, che avvelenavano i pozzi.
Perché, dunque, non è lecito ipotizzare – con dubbi e non con
certezze – che anche in questo caso ci troviamo al cospetto di una
epidemia “dolosa”, scatenata da qualcuno con precisi intenti? Il
movente non è, poi difficile, da evidenziare. Siamo nella quarta
guerra mondiale: quella che la civiltà del dollaro, dopo aver vinto
la terza (Guerra Fredda), ha dichiarato dal 1989 a ogni Stato non
allineato con il Washington consensus (dall’Iraq alla Libia, dalla
Serbia all’Afghanistan). Ora, è la Cina un Paese non allineato con
il Washington consensus? Sì. È la Cina un Paese altamente inviso
alla talassocrazia dell’hamburger? Sì. V’era, prima che
scoppiasse l’epidemia, una forte tensione tra i due Paesi? Certo
che sì: se dico 5G e caso Huawey vi sovviene qualcosa? La Cina, è
innegabile, ha compiuto il balzo in avanti: e forse, per molti versi,
ha già superato per potenza tecnica e commerciale la civiltà a
stelle e strisce. Ipotesi di spiegazione e movente, dunque, vi sono.
Wuhan, la Silicon
Valley d’Oriente
Wuhan – non
dimenticatelo – è una sorta di Silicon valley d’Oriente. Un
punto strategico al massimo grado, colpendo il quale, com’è
evidente, si mette in ginocchio la Cina tutta. Com’è ovvio, il
nostro immaginario, plasmato dal pensiero unico e dal trasbordo
ideologico inavvertito, si rifiuta in modo irriflesso di pensare che
ciò sia possibile: con un moto quasi inconscio, respinge questa
ipotesi ermeneutica, senza nemmeno avventurarsi a considerarla
seriamente. La civiltà del dollaro non può fare cose simili! Essa è
il bonum maximum sul pianeta terra, il sempre vigile garante della
pace e della democrazia! Eppure, come sappiamo, bioarmi e armi
batteriologiche non sono fantascienza.
La guerra biologica
non è fantascienza
Eppure è tutto
ufficiale e sotto gli occhi di tutti, come nel noto racconto di Poe
“La lettera rubata”: la lettera sta lì, in bella vista, e siamo
noi che non sappiamo vederla. Si prenda il documento ufficiale del
2000, Rebuilding America’s Defenses, pubblicato dal pensatoio
conservatore Project for a new american century: anzitutto, si
ipotizza l’esigenza di una “nuova Pearl Harbour”, che permetta
agli Usa di usare la propria potenza come legittima risposta a una
aggressione. Per ironia della sorte, con incredibile coincidenza, la
monarchia del dollaro avrà la sua nuova Pearl Harbour l’anno
seguente, l’11 settembre del 2001. E sempre in quel documento si
legge testualmente: “Forme avanzate di guerra biologica, che
possono prendere di mira certi genotipi, possono trasformare la
guerra biologica, da regno del terrore, in utile strumento politico”.
Sic! Come interpretare allora quanto accaduto a Wuhan? Non è poi
difficile. Diego Fusaro
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