Che cos’è il tempo? È reale o è soltanto un prodotto della
nostra immaginazione? Esiste un inizio ed una fine del tempo? Perché
il tempo scorre sempre in avanti? Perché ricordiamo il passato e non
il futuro? Può il concetto di tempo fornire la base per la tanto
agognata Teoria del Tutto?
Sant’Agostino,
nelle Confessiones, afferma: “Allora che cosa è il tempo? Se
nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo
domanda, non lo so più” e, più recentemente, il fisico Julian
Barbour: “possiamo riconoscere e misurare il tempo ma non lo
comprendiamo” ed è “significativo che c’è un così
debole accordo su cosa esso sia realmente e su come cercare una
soluzione a tale domanda”.
La scienza moderna
ha sinora adottato, nei confronti del tempo, un approccio
sostanzialmente “operazionale”, limitato cioè alla sua
misurazione, relegando ad un livello secondario il problema della
comprensione profonda del suo significato.
«Einstein si è
accorto che in mezzo fra quello che chiamiamo “passato” e quello
che chiamiamo “futuro” c’è qualcos’altro che prima nessuno
aveva notato. Non c’è soltanto un effimero e istantaneo
“presente”, c’è molto di più. Il motivo per cui questo
“qualcos’altro” di solito non lo notiamo è che dura molto
poco. Quanto dura questo “né passato né futuro” dipende dalla
distanza. Per esempio se noi stiamo parlando nella stessa stanza,
l’intervallo che non è né passato né futuro è di qualche
nanosecondo, cioè pochissimo, e non lo notiamo. Se stiamo
telefonandoci da NewYork dura un millisecondo, ancora troppo poco per
notarlo, ma se io sono sulla terra e qualcun’altro è su Marte,
allora il “né passato né futuro” dura un quarto d’ora, e
questo sì che si nota.
Per questo non si
può avere una conversazione semplice fra Marte e la Terra: perché
anche se io provo a rispondere non appena sento la tua domanda, tu
comunque avrai la mia risposta dopo 15 minuti. Quei quindici minuti
non sono né nel mio passato né nel mio futuro. Sono nella “zona
intermedia”. Ma le conseguenze sono importanti. Significa che non
si può dire “in questo momento nell’universo le cose sono così
e cosà”. Non esiste, in realtà un “questo momento”,
nell’universo».
Secondo le
conclusioni di illustri fisici, tra cui Rovelli – il tempo non é
una dimensione fondamentale dell’universo e nemmeno indispensabile
per studiarne le strutture. Ma ogni individuo percepisce il tempo: la
sensazione del passato ricordato che ci causa gioia o dolore; la
sensazione del futuro, di ciò che non sappiamo e che possiamo solo
prevedere, sede delle nostre ambizioni e delle nostre preoccupazioni.
Il tempo fisico, che pare non esistere così come lo immaginiamo,
è nato dalla mente umana in cui risiede la sensazione di un continuo
scorrere, che l’uomo ha voluto chiamare semplicemente “tempo”.
La risoluzione del mistero del tempo come abitualmente lo intendiamo
è dunque dentro di noi, lì nel luogo in cui è nato. La parte del
nostro cervello in cui risiedono i ricordi, la memoria, ha creato
dentro di noi la sensazione di lasciarci alle spalle qualcosa, il
passato. Lo stesso si può dire del futuro: l’uomo è una macchina
per prevedere eventi; la maggior parte dei nostri pensieri sono
previsioni. Ogni cosa che facciamo, la compiamo perché abbiamo fatto
delle previsioni e da qui nasce il concetto illusorio di futuro.
Se l’uomo non
avesse la capacità di memorizzare, non avrebbe un “passato”, se
l’uomo non avesse la capacità di prevedere, non avrebbe un
“futuro”. Eppure è grazie al passato e al futuro degli sforzi
della mente umana che l'universo si rivela; è nel tempo che
il mistero del tempo squarcia il suo velo.
Nessun commento:
Posta un commento